L’arroganza del potere
Maestro e discepolo chiacchieravano in un angolo quando una vecchia li avvicinò: “Allontanatevi dalla mia vetrina!”, urlò la vecchia. “State ostacolando i clienti”.
Il maestro chiese scusa e cambiò marciapiede.
Continuarono a chiacchierare, quando si avvicinò un ufficiale. “Abbiamo bisogno che lei si allontani da questo marciapiede”, disse l’ufficiale. “Fra poco passerà il conte”.
“Che il conte usi l’altro lato della strada”, rispose il maestro, senza muoversi. Poi si rivolse al suo discepolo:
“Non dimenticare: non essere mai arrogante con gli umili. E non essere mai umile con gli arroganti.”
Guerriero della Luce di Paolo Coehlo
Quello che ancora ci ostiniamo a chiamare "potere" dovremmo cominciare a chiamarlo follia - come fece a suo tempo Erasmo da Rotterdam.
di Pina La Villa
http://www.girodivite.it/Dizionario-del-te...lennio,604.htmlPotere: il significato della parola è usurato e quindi ambiguo, come avvine per tanti altri termini. Togliendo qualche incrostazione si possono forse scoprire alcune cose interessanti.
Potere è arrivato a significare, nel senso comune, arbitrio, comando, affermazione sugli altri.
Ma "potere" è una parola astratta che nasce dall’infinito del verbo che indica invece la possibilità che abbiamo, in una data situazione, di fare qualcosa. La domanda è : cosa posso fare? Indica, paradossalmente, un grande rispetto per se stessi, per gli altri, per le cose. Non cosa VOGLIO O DEBBO, ma, realisticamente, concretamente e rispettosamente, cosa POSSO fare.
Divagazione. Lo yoga, per esempio, insegna cosa possiamo fare col nostro corpo, nel rispetto dei suoi tempi, dei suoi ritmi, della sua malattie e dei suoi difetti, spesso causati da disattenzione nostra nei suoi confronti.
Anche tornando al significato politico della parola "potere" immaginiamo di mantenere questo significato. Immaginiamo il "potere" che fa solo quanto è in grado di fare - secondo la costituzione, secondo le regole, secondo i contrappesi previsti. E spinge in avanti, cioé spinge la società a realizzare le proprie potenzialità, ascoltando tutti i segnali, stando attento alle situazioni di sofferenza, per vedere appunto cosa "può" fare per superarle. Il "potere" non ha quindi, o non dovrebbe avere, nulla a che fare né con l’arbitrio, né col comando, né tantomeno con l’imposizione e la sopraffazione.
Quello che ancora ci ostiniamo a chiamare "potere" dovremmo quindi cominciare a chiamarlo follia, stupidità, arroganza - come fece a suo tempo Erasmo da Rotterdam. E quando sentiamo le frasi "un uomo di potere", "gli uomini potenti", "ha il potere di cambiare le cose", "ha il potere di dare la felicità" etc. etc. dobbiamo solo provare a sostituire alla parola potere la parola arroganza. (il significato della parola arroganza alla prossima puntata).
Tempo fa, su "Sofia", una rivista di filosofia fatta a Verona e ispirata al pensiero della differenza, un dibattito su potere e autorevolezza in cui le pensatrici mostravano tutto il loro malumore nei confronti del potere, cercando di sostituirlo col termine "autorevolezza". Ma non fecero che camuffare con una parola nuova la sostanza pressoché identica del concetto. Nell’autorevolezza vedevano la figura materna, il cui "potere" consiste nella cura e che non vuole gli sia riconosciuto il comando, la responsabilità delle azioni che fa, delle decisioni che prende, ma solo l’autorevolezza, cioé in pratica quelle capacità manipolatorie che da secoli sono state considerate appannaggio delle donne. In pratica dalla padella alla brace. Paterno o materno il potere inteso come manipolazione è sempre deleterio.